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Si può essere uomo di governo e coscienza critica? Si può essere. Oggi forse un po’ meno, ma la testimonianza di Emanuele Giudice ci dice che si può. Una testimonianza che oggi diventa testamento. Emanuele Giudice è scomparso ieri nella sua Vittoria a 82 anni. Non era un professionista della politica: avvocato, fine intellettuale, amava pensare prima di agire. Fu più volte presidente della Provincia.

Era di quei democristiani che all’epoca erano definiti “anomali” e “amici dei comunisti” perché troppo a sinistra. Fu tra i primi in provincia di Ragusa ad ipotizzare l’incontro fra storie e culture diverse ed aventi in comune l’alveo progressista che lustri dopo portò al Partito democratico. A lui mi legavano un’amicizia, un comune sentire e… un libro, uno dei suoi libri intitolato “L’utopia possibile. Leoluca Orlando e il “caso Palermo”” edito da Ila Palma. Emanuele mi chiese di moderare la serata di presentazione tenuta a Ragusa.

Era l’autunno del 1990. Orlando era stato rieletto al Consiglio comunale di Palermo con una valanga di voti (71mila) dopo le giunte della “Primavera di Palermo” che, sotto la sua guida, vedevano per la prima volta insieme al governo di una città democristiani (ovviamente una parte), comunisti, indipendenti di sinistra, verdi e movimenti civici. Ma allora il sindaco lo eleggeva il Consiglio comunale. E dopo la grande affermazione che consacrava Orlando leader all’insegna della rottura del vecchio sistema dei partiti e delle compromissioni politica-mafia-massoneria, lo stesso Orlando fu messo da parte per restaurare a Palermo le giunte fondate sul patto di ferro fra democristiani e socialisti: il consenso veniva clamorosamente mortificato.

Fu anche a seguito di questa ferita che si fece la riforma per l’elezione diretta dei sindaci. In quei giorni Orlando era corteggiatissimo dai post-comunisti (Occhetto gli aveva offerto la presidenza del Pds nazionale), dai movimenti che lo volevano a capo di un nuovo soggetto politico e dai democristiani di sinistra che lo volevano addirittura candidare alla segretaria nazionale del partito. Per mesi Orlando tenne tutti sulla graticola: esce dalla Dc o non esce; e se esce, che fa? Emanuele Giudice e Leoluca Orlando militavano nella sinistra democristiana, oltre ad essere amici. Anch’io nella Dc del tempo mi schierai da quella parte. Giudice mi coinvolse fino ad invitarmi a fare da moderatore in quella serata indimenticabile: alla presentazione c’erano Leoluca Orlando, il gesuita e sociologo padre Ennio Pintacuda (ispiratore politico di quell’esperienza politica), Rino La Placa, sostenitore della “Primavera” e di Orlando, ma nettamente contrario alla sua uscita dalla Dc. Il salone grande della Camera di commercio di Ragusa era gremito come mai si era e credo si sia verificato. La voglia dei ragusani di conoscere direttamente questo astro nascente della politica nazionale, alfiere della lotta alla mafia qual era Orlando era tanta.

E Orlando non deluse le aspettative. Il libro di Emanuele Giudice fu uno dei capisaldi di quella fase politica che sfociò nella Rete pochi mesi dopo. Ad essa Emanuele Giudice non aderì in prima battuta. Lo fece dopo, seguendo i figli che della Rete furono fra i fondatori in provincia di Ragusa. Giovanni Giudice, uno di loro, è oggi vice questore della Polizia di stato, impegnatissimo in fronti “caldi” della lotta alla criminalità organizzata. A lui e a tutta la famiglia un abbraccio forte. Ad Emanuele un arrivederci e un grazie per ciò che ci lascia.

Gianni Stornello

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